Alberto Morganti, nato a Pisa il 22/04/1973, é uno dei poeti italiani più premiati a livello nazionale e internazionale. Il suo libro L’Oblò sul Creato sta riscuotendo ottimi successi in termini di numero di copie vendute, di partecipanti alle presentazioni del libro, di recensioni da parte di stimate personalità del mondo della cultura: critici letterari, docenti universitari, giornalisti, sceneggiatori di teatro, insegnanti, colleghi scrittori e poeti. Lo abbiamo incontrato al Salone del Libro di Torino.
Alberto, quando e come è nata in te la passione per la poesia?
Da piccolo, da quando ho iniziato a coltivare lo studio nel doposcuola, anche in forma autodidatta. Mi sono avvicinato per passione agli autori classici. Questo grazie alla mia propensione, forse un po’ innata, ma anche grazie alla mia famiglia: i miei genitori (mia madre era insegnante) e i miei nonni, sempre molto attenti. Questo mi ha dato la possibilità di affinare una certa proprietà lessicale nel corso degli anni.
Quali sono stati i primi autori che ti hanno influenzato? E in che modo hanno lasciato un segno nel tuo stile?
In primis Giacomo Leopardi, per il suo passato legato alle sue condizioni di salute, perché avendo anch’io un trascorso non troppo ilare nella mia infanzia mi sono identificato col dolore, col tormento che ha dovuto subire il grande poeta sin dall’infanzia, fino alla sua dipartita per tisi. Io ho avuto un passato, soprattutto nel periodo dell’infanzia, abbastanza
falcidiato da problemi di salute. Questo mi ha anche isolato, e quindi ha permesso che l’ambiente interagisse ancora più con me. Quindi il giardino, gli animali, le piante … tutto questo mi ha permesso di conoscere il mondo circostante, e anche me stesso, più profondamente. Vi è sempre una percezione della realtà che si traduce in emozioni trasmesse poi su carta, in questo caso in forma artistica tramite i versi di una poesia.
Hai una routine creativa? Scrivi di getto o rielabori più volte il testo?
Raramente elaboro più volte il testo una volta partorito dall’ispirazione della Musa, che si presenta nei momenti, nei contesti e nei modi più inaspettati davanti a me. In quel momento è come se una parte sovradimensionale prendesse possesso della mia mente, della mia mano, ed ecco che lì riesco a partorire delle opere a volte incredibili. Io stesso, quando vado poi a rileggerle, dico: “Caspita, come è possibile?”. Questo è tipico dei poeti, più che degli scrittori: basta leggere la letteratura classica per capire come e dove la Musa riesce a imprimere questa facoltà incredibile.
Hai parlato prima dei tuoi studi, in che modo la tua formazione in comunicazione e gli studi successivi hanno influenzato il tuo modo di scrivere?
Bellissima domanda, ti ringrazio. La formazione universitaria e post-universitaria, al pari del percorso autodidatta, mi ha permesso di migliorare nel tempo una certa capacità di linguaggio, che poi si è affinata soprattutto nella realizzazione di liriche, che sono inserite in questa pubblicazione. Voglio aggiungere questo: voglio ringraziare tutti coloro che hanno
carpito sin dall’inizio e non solo capito – perché bisogna anche individuare, intuire e quindi carpire le potenzialità di una persona – vale a dire gli insegnanti. Sono molto grato di questo agli insegnanti, e ovviamente alla famiglia.
Nel tuo libro “L’oblò sul Creato”, che ha avuto un grande successo, la spiritualità è molto presente. In realtà lo è un po’ in tutti i tuoi lavori. Come vivi oggi il rapporto tra fede, natura e poesia?
Vi è un trait d’union fra tutte queste componenti, che fanno parte della vita stessa, la vita che emerge con tutto il suo bagaglio di emozioni, desideri, dolori, ansie, paure. Certamente c’è un collegamento con la fede, quindi un’attenzione particolare ai valori in cui crediamo, che ognuno di noi vive in modo diverso. Come ribadisco sempre in ogni intervista, il comune
denominatore di questi valori deve sempre essere il rispetto: il rispetto verso le altre opinioni, il rispetto soprattutto verso i da noi dissimili, ovvero tutte le creature che il Creatore ci ha regalato in questo mondo, che è il Creato, e che hanno lo stesso diritto di vivere come noi.
Ecco, qual è il tuo rapporto con Dio?
Profondo, a volte anche tormentato, certamente a causa della conflittualità esistenziale che ognuno di noi, in un modo o in un altro, in un momento diverso della propria vita, in contesti diversi, è costretto prima o poi ad affrontare. Quindi devi fare i conti con le difficoltà della vita, ma sempre tenendo presente la ‘stella polare’, che deve essere appunto il rispetto verso gli altri in senso generale, l’alter in senso generico, l’alter inteso come prossimo: l’ambiente in cui si vive, quindi la natura stessa, e ovviamente tutte le creature.
Questa tua conflittualità ti porta ad avere una continua ricerca di spiritualità?
Certamente, ma è inevitabile, soprattutto per le persone ipersensibili, le persone che soffrono di più in certi momenti della propria vita. È inevitabile che si tenda a estremizzare le sensazioni, perché finché si parla di gioia, bene, siamo tutti bravi a godere a pieno la vita, ma è quando poi intervengono i problemi – difficoltà varie nel mondo del lavoro e di salute – è lì che bisogna tenere fede ai propri valori.
Nella tua opera “L’oblò sul Creato”, in ogni poesia abbiamo uno stile diverso. Quanto conta per te la libertà nella scrittura poetica?
Direi che è un principio cardine Allora, l’ossatura in riferimento allo stile – quindi la metrica, le varie figure retoriche, le anafore, gli ossimori e quanto possiamo individuare in un testo poetico – è sicuramente il fulcro, che determina anche il valore tecnico letterario. La libertà espressiva, però, è quella che alla fine permette di esprimere le emozioni in un ‘fulgore letterario’, come l’ha definito Perilli, grandissimo critico letterario, che fra l’altro mi ha fatto una delle tante importanti recensioni qui presenti, che sono veramente di alto livello. Colgo l’occasione per ringraziare tutti i docenti universitari, i critici letterari, nonché i giornalisti e i colleghi che hanno voluto rilasciarmi importanti recensioni.
Il titolo del libro evoca un’immagine di apertura verso l’esterno e anche oltre. Cosa rappresenta per te l’oblò?
Come ho sempre detto, il titolo è figlio di una selezione, anche molto travagliata, tra vari termini. Un titolo del genere, con una copertina del genere, permette al lettore di capire immediatamente che si tratta di una lettura poliedrica, che affronta in modo diverso concetti diversi. Possiamo riconoscere quindi, sia nella copertina che nel titolo, una finestra che ci permette di scoprire tutta quella bellezza che ci circonda. Ma attenzione: la prima bellezza non è quella che ci circonda, è quella che viviamo dentro di noi ed è rappresentata dalla parte divina che spesso ci dimentichiamo di avere a causa della frenesia quotidiana, delle acredini che viviamo anche inconsapevolmente con l’altro. Questo ci permette, nel viaggio nel Creato, di tenerci protetti dietro a una finestra, dalla quale possiamo vedere tutte le bellezze, ma anche tutte le nefandezze dovute all’adulterazione dell’uomo adulto.
Una domanda che non è inclusa, ma che mi viene spontanea: tu parli di Dio, in funzione di quello che hai detto adesso, perché sei una persona empatica?
La contemplazione sensoriale è sicuramente ciò che ci differenzia – grazie all’empatia e insieme alla razio – dagli altri dissimili, ovvero da tutte le creature figlie del Supremo che non hanno avuto in dote queste capacità che invece contraddistinguono i di noi simili, cioè l’uomo sapiens. È da qui che possiamo discernere il bene e il male, e dall’oblò possiamo capire la bellezza del Creato, ma anche quali sono le brutture che, purtroppo, soprattutto il maschio adulto del sapiens ha portato in questo disegno divino.
Tu hai deciso di destinare una piccola parte del ricavato di questo libro a una causa benefica. Credi che oggi la poesia possa avere anche una funzione sociale?
Assolutamente sì, soprattutto oggi. Alle fiere o a certe presentazioni, non in tutte, una parte del ricavato viene devoluta ai bambini ricoverati nei reparti oncologici. Perché? Perché questo è un mio principio, essendo anche presidente di un’associazione di volontariato ed essendo stata la mia vita guidata dal volontariato in tutto e per tutto. Ma anche nella
semplice quotidianità, da quando si va a fare la spesa a quando si permette a una persona anziana in difficoltà di attraversare la strada, accompagnandola, sono tutti quei piccoli gesti che ci differenziano dagli altri dissimili.
Spesso ci dimentichiamo di quanto sia importante fare del bene, perché facendo del bene facciamo del bene soprattutto a noi stessi: ci arricchiamo di quella parte divina che altrimenti rischiamo di non percepire più. Noi arriviamo da secoli in cui la poesia era l’ossatura dominante della società, addirittura grandi personaggi conquistavano con le poesie! Poi c’è stato un calo, negli anni 60 c’è stata una grande ripresa (il ‘63 è l’anno in cui si riscrive un po’ tutta la storia della poesia), poi c’è stato di nuovo un calo …
In un momento dominato dall’immagine e dalla velocità, che spazio può avere oggi la poesia?
La poesia significa contemplazione della propria identità, delle proprie capacità cognitive e della realtà con cui interagiamo. Dobbiamo avere il tempo necessario da dedicare alla poesia. Negli ultimi venti anni, dopo l’avvento di Internet e soprattutto dei social, c’è stato un allontanamento progressivo, quasi impercettibile ma traumatico, da tutti gli autori ed editori. Basta vedere semplicemente che chiudono testate giornalistiche, che decurtano il personale: meno lettori in generale. Questo è un problema che si riscontra in ogni ambito. La conoscenza, la cultura, ci permettono di comprendere meglio il mondo intorno a noi e quindi di comprendere meglio anche le nostre capacità comunicative, per poter esprimere il meglio di noi stessi. La cultura è l’espressione più importante dell’essere umano, per sé stesso e per gli altri, ed è quello che ci permette l’evoluzione e il progresso, più di qualsiasi altra conquista, sia tecnologica, sia sociale.
Se dovessi rivolgerti a un giovane poeta che vuole iniziare a scrivere oggi, quale sarebbe il tuo consiglio?
Combattere, nel vero senso della parola. Purtroppo oggi in Italia, con l’avvento dell’intelligenza artificiale (che potrà essere la deflagrazione di tutto il sistema comunicativo, artistico ed espressivo) chi si cimenta in qualsiasi forma artistica deve investire tempo e deve soprattutto credere in sé stesso, deve anche combattere contro i figli d’arte, contro i grandi ricconi che finanziano i figli di papà, i raccomandati dalla politica. Questo è ciò che significa dover affrontare oggi un percorso artistico, perché se uno come il sottoscritto – nato da zero e accompagnato da nessuno – si arrende dopo una, due, tre, quattro, cinque
difficoltà, è finito. Non deve mai smettere, deve essere tenace e lottare fino allo stremo.
Hai mai scritto versi ispirati direttamente a situazioni sociali o a battaglie civili, locali?
Sì. Affrontando tematiche diverse in stili diversi ho ovviamente dovuto trattare anche tematiche scottanti, soprattutto nella società di oggi: vuoi il razzismo, vuoi il problema del rispetto dei diritti, il problema soprattutto del rispetto a 360° verso il prossimo, verso tutto l’ambiente circostante di creature senzienti. Questo è il punto: il rispetto verso la natura,
l’ambiente, gli altri umani e non umani è quello che ci differenzia. Solo per questo motivo Dio ci ha regalato questo pianeta, perché custodissimo questa dimora unica nell’universo, che ha dato ai suoi figli prediletti.
In un panorama editoriale sempre più competitivo, è possibile fare poesia e allo stesso tempo promuovere valori di inclusione e responsabilità?
Assolutamente. Bisogna comunque parlare sì di diritti, ma anche di doveri. Doveri che ovviamente sono sempre difficili, è difficile cercare di esercitarli, perché ognuno di noi pensa solo a sé stesso, in una specie di circuito egoistico autoreferenziale dove si pensa che tutto ci debba arrivare subito e solo a noi, perché siamo ‘più ganzi’, come si dice in Toscana. Non è
così: per avere i diritti bisogna rispettare i doveri, soprattutto il proprio dovere. E farlo rispettare anche agli altri.
Hai progetti futuri? Stai lavorando a dei progetti importanti?
Sì, grazie per la domanda. Darò sicuramente alla luce un romanzo fantasy, di fantascienza, di cui ho già un tracciato in testa e anche un po’ su carta. Non voglio spoilerare altro, perché in questo mondo si rubano facilmente le idee.
Diciamo che allora possiamo aspettarci che tu sia pronto a sperimentare nuovi generi, come ad esempio narrativa, teatro …
Prontissimo, ma già lo avrei dovuto fare, ho atteso troppo tempo sia per pubblicare quest’opera sia per poi realizzarne altre in altri ambiti della narrativa, come appunto il romanzo.
Alberto, siamo qui al Salone del Libro di Torino, dove hai avuto un successo incredibile. Ci parli un attimino di cosa hai presentato?
In questo stand, assegnatomi dalla Astro Edizioni, ho avuto modo di mostrare come si deve fare una mostra artistica, in questo caso una mostra della letteratura. Devo dire che c’è stata molto attenzione a quest’opera, soprattutto perché è un libro di poesia molto premiato, e io stesso sono tra i più premiati attualmente in Italia come poeta. Sono riuscito a vendere tutti i libri fornitimi dalla casa editrice, che ringrazio. È stato un successo straordinario, fuori da ogni previsione.

Le ultime due domande. Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Poter continuare a pubblicare serenamente, quindi utopia pura. Rimane sicuramente nel cassetto, però la mia capacità di esprimere sempre passione in ogni cosa, senza mai arrendermi davanti alle difficoltà, sicuramente è già questo un sogno realizzato che posso trarre dal cassetto. Però, veramente, per uno scrittore il sogno più grande è quello non tanto di essere il vincitore del Premio Strega, ma è poter lavorare serenamente, poter partorire senza questo eccesso di travaglio i propri scritti, in modo che la gente possa goderne a pieno.
Che tipo di eredità ti piacerebbe lasciare come poeta e come cittadino?
Potrei essere ermetico in questa risposta, vediamo se ci riesco: bravo scrittore, brava persona.
Revisione Stefania Lerma
Intervista: Giovanni Convertini-Elisa Rossetto
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