Negli ultimi anni, il dibattito sulla libertà individuale, la manipolazione mentale e il confine tra persuasione e coercizione è tornato prepotentemente alla ribalta. In questo contesto si inserisce la discussione – controversa e complessa – sulla possibile reintroduzione del reato di plagio nel nostro ordinamento giuridico. Una norma abrogata nel 1981 dalla Corte costituzionale per la sua indeterminatezza, ma che oggi qualcuno vorrebbe riesumare alla luce di nuove forme di controllo psicologico, soprattutto in ambito settario. Per fare chiarezza su questo tema, abbiamo intervistato Raffaella Di Marzio, dottorato in psicologia della religione, è la direttrice del “Centro Studi sulla Libertà di Religione Credo e Coscienza” (LIREC).

Dott.ssa Di Marzio, recentemente qualche voce parlamentare ha ventilato la reintroduzione del “reato di plagio”, abolito dall’intervento della Corte Costituzionale nel 1981, che ne ravvisava il pericolo d’incriminare le idee. Che cosa si intende per “plagio”?

Il “plagio” è l’azione di una persona che ne influenza psicologicamente un’altra, spingendola a compiere azioni o a fare delle affermazioni che non farebbe se non fosse manipolata. Un’azione assolutamente deleteria che influisce sulla libertà di un soggetto. Fu un reato introdotto da Mussolini per utilizzarlo, ovviamente, contro i nemici del regime. Tuttavia, non fu mai applicato in Italia fino agli anni Settanta del secolo scorso.

La sola persona condannata nel nostro Paese per “plagio” fu un certo Aldo Braibanti, un insegnante accusato dai genitori di un suo allievo di aver indotto il giovane – tra l’altro maggiorenne – all’omosessualità. Era il periodo clou dell’ostilità nei confronti dell’omofilia e la condanna trovò una sua giustificazione. Oggi il “plagio” ha cambiato nome. È definito “manipolazione mentale” o “manipolazione psicologica”. Cambia la denominazione ma non la sostanza. Così compare in due disegni di legge molto simili presentati da senatori di Fratelli d’Italia e della Lega, in discussione presso la Commissione Giustizia del Senato.

Tornando all’intervento della Suprema Corte che nel 1981 lo abolì, in che senso il “plagio”
‘incrimina le idee’?

La Corte Costituzionale non ha censurato la legislazione sul “plagio” invitando il Parlamento a crearne un’altra. Piuttosto, ha sostenuto che il “plagio”, così come lo s’intendeva era un reato immaginario: un escamotage per mettere al bando idee impopolari e sgradite, atteggiamenti strani e attività inconsuete. Poiché in democrazia non si possono vietare le idee, si sostiene che quelle “strane” possono essere accolte e messe in atto solo da chi subisce una manipolazione mentale, altrimenti. In sostanza, il “reato” servirebbe solo per vietare quelle idee che non sono “normali”; ovvero, permettere a qualcuno di decidere quali sono le idee “normali” e quelle “anormali”, censurando queste ultime.

La manipolazione mentale non si può misurare. Com’è possibile misurare il grado di libertà di una persona nel momento in cui fa una scelta? Lo dovrà decide un giudice avvalendosi di uno psichiatra, che gli fornirà un parere. Su quali basi di prova? Come si dimostra il grado di manipolazione? Soprattutto se il presunto manipolato sostiene d’essere libro di fare quella
determinata scelta? Presumere che sia manipolato significa ledere la sua dignità di essere umano e la sua libertà. Con una legge del genere potrebbe essere condannato chiunque. Una “mina vagante nel nostro ordinamento”, così definita a suo tempo dalla Corte Costituzionale.

Sostanzialmente, è un modo per aggirare l’ostacolo della condanna delle idee; un po’ come in Russia si fa per colpire le minoranze, definendole “estremiste”.

Certamente. Con riferimento alle cosiddette “sette”, in questi disegni di legge non se ne fa menzione; anche se in fase interlocutoria i Senatori promotori le citano, per convincere i colleghi della bontà dell’iniziativa. Una legge di questo tipo potrebbe essere usata contro chiunque. Come nel caso del Braibanti, qualunque insegnante potrebbe essere accusato di manipolare gli allievi; un ragazzo accusato dai genitori della fidanzata di manipolare la figlia; uno psicoterapeuta potrebbe diventare la vittima di un ex paziente scontento. Chiunque potrebbe essere indiziato di questo tipo di reato che non è provabile. Gli stessi senatori che ne disputano non si rendono conto e che stanno innescando una bomba che potrebbe esplodere nelle loro mani.

Un boomerang! Allora, quali sono le vere finalità per portare avanti la reintroduzione?

Io seguo queste vicende dagli anni Novanta, in cui ho visto presentare tanti disegni di legge simili a questo, sia da esponenti non solo della Destra, ma anche della Sinistra. La motivazione è sempre la stessa: il pericolo delle “sette”. Ho letto le presentazioni a tutti i progetti di legge – forse sei nel corso degli anni fino ad oggi – Le introduzioni cambiano, ma la sostanza è sempre la stessa: esiste “un allarme sociale”; qualcuno dice addirittura “europeo”, aggiungendo che in Italia il proliferare di
“sette” e “psico-sette” è pericolosissimo. Inoltre, sono forniti dati allarmanti e univoci ma di cui non si conosce la provenienza. Il senatore Rastrelli cita il Codacons, che non ha niente a che vedere con queste tematiche. L’unico ente che in Italia è in grado di fornire numeri circa i nuovi movimenti religiosi è il CESNUR di Torino, che li censisce dal 2001: numeri minimi, soprattutto quelli che sono caratterizzati da stranezze. La cosa singolare è che una nuova legge sul “plagio” potrebbe anche colpire un prete cattolico che segue una ragazza la quale vorrebbe fare la suora di clausura, ma i cui i genitori non sono d’accordo.

Allora, perché si vuole questa legge? Torno a dire: il pericolo delle “sette”, che poi non ha avuto mai nessun riscontro. Non c’è mai stato un dato istituzionale, neanche nei rapporti che il Ministero degli Interni annualmente pubblica sullo stato della criminalità in Italia, che attesti il pericolo delle “sette criminali”. Termine che, oltretutto, non ha riscontro, perché quello che i tribunali condannano sono le “associazioni per delinquere”: individui condannati per reati compiuti in associazione con altri. Tuttavia, anche in questo caso la “manipolazione mentale” degli associati non è dimostrabile.

Chi sostiene queste iniziative?

Dietro ci sono sempre le spinte di una costellazione di singoli e di organizzazioni che condividono una cosa, l’ideologia “antisette”. È un’ideologia che porta singole persone e organizzazioni a dedicare tutte le loro attività a combattere gruppi criminali accusati di veri e propri reati gravi, oltre che soprattutto di manipolazione mentale. Di volta in volta, la campagna allarmistica prende spunto da vicende peraltro reali. Per inciso, gli estremi di questa ideologia sono stati, tuttavia,
ripetutamente condannati da grandi organizzazioni che nel mondo si occupano di diritti umani e di libertà religiosa.

Il processo Narconon

A proposito di vicende accadute, che hanno fornito l’innesco, alla fine anni Ottanta, ci fu quella del processo a Narconon, che riguardava la chiesa di Scientology. Da allora partirono i primi tentativi per reintrodurre il “reato di plagio”. Alla fine i giudici sentenziarono che Scientology è una religione e condannarono solo persone che facevano parte di Narconon, un’associazione collegata che si occupava del recupero dei tossicodipendenti, perché avevano effettivamente compiuto degli abusi. Scientology ne uscì “pulita”, perché considerata Chiesa.

Quello fu l’innesco, tuttavia senza esito. In seguito si verificarono altri casi. Quello che io personalmente ricordo meglio è il famoso “Sotto”, così definito da un’organizzazione antisette che si era occupata delle presunte vittime di questo gruppo. Venne definita la più pericolosa “psico-setta” mai esistita in Italia. Un Pubblico Ministero mise in piedi un processo che
iniziò nel 2008 e terminò nel 2012, da cui partì la campagna per la reintroduzione del “reato di plagio” a causa del fatto presunto che all’interno di quest’associazione vi fosse stata manipolazione.

La sua partecipazione in audizione in Commissione del Senato

A quell’epoca, durante il governo Berlusconi, io partecipai alle audizioni in Commissione del Senato. Ricordo che vi erano delle senatrici le quali sostenevano che la questione del “plagio” fosse introdotta. Alle prime audizioni parteciparono esponenti di “gruppi antisette” e anche un sacerdote cattolico. In seguito, furono ascoltati anche dei genitori i quali sostenevano che i loro figli erano stati plagiati all’interno di qualche “setta”.

Pertanto, furono convocati degli ex membri divenuti molto ostili ed entrati, per rivalsa, a far parte di organizzazioni “antisette”. Questa era la situazione. La mia Associazione intervenne. Fummo ascoltati in audizione, ma nel 2011 si verificarono problemi molto più seri, tanto che il governo si dimise e la questione del “plagio” fu bloccata. Io ho sempre pensato che se non vi fosse stata questa interruzione dei lavori, la legge sarebbe passata perché voluta dagli esponenti della Casa delle Libertà, versante di Destra piuttosto favorevole.

Altri tentativi

Ci furono altri due o tre tentativi fino a quest’ultimo degli scorsi mesi. Anche questa iniziativa parte da un caso particolarmente legato a una “setta” dell’Italia meridionale. La prassi è sempre la stessa. Qualcuno addita una “setta pericolosa” e iniziano le indagini. Un Pubblico Ministero prende in mano le carte, formalizza le accuse, poi si fa il processo. Alla fine nessuno va a verificare come si siano realmente svolti i fatti e le conclusioni tratte. Il processo serve a dimostrare che la “psico- setta” è indiziata e a certificare le accuse. Non serve sapere che cosa sia stato detto nel dibattimento, o se gli imputati siano stati assolti o condannati. Quello che serve ai fautori è la partenza, non come il processo si è svolto o come si è concluso.

Chi c’è dietro alle associazioni antisette?

Tutte quelle associazioni che s’ispirano all’ideologia “antisette” e ascoltano genitori che piangono figli “manipolati”. Genitori sofferenti che si fanno ricevere da senatori sensibili per raccontare le storie “terribili” vissute dai loro figli. Ragazzi perfettamente in grado d’intendere e di volere, i quali davanti a un Pubblico Ministero diranno poi di avere seguito quella strada volontariamente, come scelta di vita. Sentire questi genitori così sofferenti è uno stimolo forte per un senatore. Non
ascoltarli, fa provare sensi di colpa. Allora si convocano anche ex membri della “setta” manipolatrice: alcuni arrabbiatissimi, per qualche torto subito. È possibile che sia accaduto; può accadere in una parrocchia come all’interno di un qualsiasi gruppo. Tuttavia, difficilmente il senatore si chiederà: “Quanti saranno i fuoriusciti da questo gruppo? Se ne andranno tutti così
arrabbiati? O magari questo è un caso eccezionale?”. A quel punto però approfondire la questione non interessa più. Ascoltata la vittima, posta la base emotiva e ascoltato il fuoriuscito, tutto il resto è superfluo; c’è la motivazione istituzionale per mandare avanti la questione.

Revisione: L.B