Nel mondo del giornalismo, della fotografia e dell’informazione spettacolare, l’accesso ravvicinato a celebrità del cinema, della musica o dello sport è spesso parte del lavoro. Ma cosa succede quando dietro l’obiettivo o la penna si cela anche un fan? È davvero scorretto chiedere una foto con la star intervistata, o è solo un gesto umano, autentico, comprensibile?

Una questione di equilibrio

Il confine tra deontologia e passione personale è sottile. Alcuni sostengono che il giornalista debba mantenere sempre e comunque una distanza professionale. Altri, però, riconoscono che una volta terminato l’impegno lavorativo, un semplice scatto fotografico, fatto con garbo e senza secondi fini, non solo è lecito, ma a volte perfino emozionante. È la differenza tra essere professionali e disumanizzarsi.

Giornalisti, fan e… collezionisti

C’è una netta distinzione da fare tra chi si concede una foto per ricordo personale e chi, invece, utilizza l’accesso privilegiato per fini economici: ottenere firme su poster, vinili, locandine non per affetto ma per rivenderle online a caro prezzo. Questo comportamento non solo è scorretto dal punto di vista etico, ma danneggia anche la categoria professionale, screditando chi lavora con passione e rispetto.

Il giornalismo, soprattutto quello culturale e spettacolare, è pieno di appassionati. Alcuni dei più grandi nomi del settore hanno ammesso di essere, prima di tutto, fan.

Quando il fan è anche una leggenda

  • Cameron Crowe, prima di diventare regista di film come Almost Famous (che è ispirato alla sua giovinezza), era un giovane giornalista per Rolling Stone. Non ha mai nascosto la sua ammirazione per le band che intervistava.
  • Spike Lee, regista acclamato, è anche un fanatico del basket: lo si vede regolarmente a bordo campo durante le partite dei New York Knicks, senza mai nascondere la sua passione.
  • Joaquin Phoenix ha raccontato più volte di essere cresciuto guardando i film di River Phoenix, suo fratello, e di essere stato un fan prima ancora che un attore.
  • Luca Barbarossa, noto cantautore italiano, racconta spesso come da ragazzo fosse un fan sfegatato di Bob Dylan, che ha poi avuto occasione di incontrare professionalmente.

Anche tra i giornalisti italiani non mancano gli esempi. Alcuni storici inviati del Festival di Sanremo o del Festival di Venezia hanno posato per una foto con una star, sempre dopo aver svolto il proprio lavoro con rigore.

Carlo Verdone: il fan che diventò leggenda

Anche Carlo Verdone, tra i più importanti registi e attori italiani, è un esempio prezioso di come si possa essere al tempo stesso professionisti rispettati e appassionati sinceri. In varie interviste, Verdone ha raccontato della sua giovinezza da cinefilo e collezionista. Da ragazzo faceva la posta ai divi fuori dagli hotel romani, armato di macchina fotografica e blocchetto per autografi.

Una volta diventato celebre, la sua passione non è mai svanita. È noto il suo amore per la musica rock e progressive, e nel corso degli anni ha ammesso – con assoluta umiltà – di aver chiesto una foto o un autografo a personaggi che ammirava profondamente, anche dopo essere diventato lui stesso un’icona.

Ligabue

Luciano Ligabue, uno dei rocker più amati d’Italia, ha raccontato più volte la sua emozione nel conoscere artisti che ascoltava da giovane. Quando ha incontrato Bruce Springsteen, suo idolo da sempre, gli ha chiesto una foto – non da collega, ma da fan, senza mai forzare il momento. Anche nei suoi libri e film, si percepisce l’entusiasmo da vero appassionato di cinema e letteratura.

Il rispetto prima di tutto

Chiedere una foto o un autografo non è un atto “impuro”, se è fatto con rispetto, alla fine del lavoro, senza interrompere, manipolare o forzare la relazione professionale. È un gesto che appartiene alla sfera personale, non alla sfera commerciale. Ciò che lo rende etico è l’intenzione.

Diverso è il comportamento di chi fa firmare dieci locandine alla volta, per poi metterle in vendita su eBay. Lì, la motivazione non è l’ammirazione, ma il profitto. E non si tratta più di passione, ma di sfruttamento.

La differenza sostanziale

C’è invece un’altra categoria, meno romantica, più grigia: quella di chi sfrutta l’accesso professionale per ottenere autografi in serie, su locandine, vinili, copertine, con un solo scopo – rivenderli online a collezionisti disposti a pagare cifre importanti.

Questo non è essere fan. È speculazione. È un comportamento che tradisce il privilegio dell’accesso, che svilisce l’incontro umano, che trasforma l’autenticità in merce. Un gesto che, oltre a essere eticamente discutibile, rischia di danneggiare anche chi lavora seriamente nel settore, perché porta le celebrità a essere sempre più diffidenti, sempre meno disponibili, sempre più protette da barriere.

Un codice non scritto

Esiste un codice non scritto tra i professionisti seri: fare il proprio lavoro con integrità, e solo dopo – se l’occasione è giusta, se il momento lo permette – lasciarsi andare al fan che è in noi. Senza mai dimenticare che il privilegio di accedere al “dietro le quinte” impone anche responsabilità.

Dopotutto, è proprio il rispetto che distingue un fan vero da un opportunista.