Le religioni, in particolare quelle istituzionali, sono in caduta libera. Sempre meno fedeli e, dato significativo, sempre meno donne vanno a messa o non seguono più la religione che gli era stata insegnata dall’infanzia. Per contro, vi è un aumento notevole di persone che avvertono un bisogno di spiritualità. La crescita di nuovi movimenti o nuove religioni ne è un esempio. Perché avviene questo? quale differenza c’è tra religione istituzionale e spiritualità? Lo abbiamo chiesto alla professoressa Stefania Palmisano. (Ascolta l’audio dell’intervista)

Chi é Stefania Palmisano?

Stefania Palmisano è Professoressa Associata presso il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino, dove insegna Religioni nel mondo globalizzato. Con Nicola Pannofino ha scritto Religioni sotto spirito. Viaggio nelle nuove spiritualità, Mondadori, 2021, mentre, per Il Mulino ha curato, con Alberta Giorgi, Donne e religioni in Italia. Itinerari di ricerca, 2024.

Dottoressa Palmisano, quando nasce il suo interesse per la religione e la spiritualità?

Nasce nel 2006, al termine del mio dottorato di ricerca di Sociologia dell’Organizzazione. Grazie a un lavoro di ricerca empirica sul campo, scoprii che l’argomento religione mi appassionava tremendamente, sia dal punto di vista intellettuale sia personale. Per me l’“enigma religioso” è un rompicapo intellettuale ed esistenziale.

Conobbi un gruppo appartenente a un nuovo movimento religioso, e decisi di iniziare la mia ricerca di campo su di esso. Iniziai a fare “etnografia”; ovvero, trasferirsi al suo interno studiandone le pratiche e comunicando con le persone. Non sola osservazione ma soprattutto partecipazione. Accettata dal gruppo, per circa un anno – anche se non ininterrottamente – ho vissuto con loro. In seguito, ho scritto il mio primo libro, dedicato a un gruppo religioso di tipo cattolico.

Le recenti folle oceaniche in piazza San Pietro, attorno alla figura del nuovo papa, hanno rivelato un riaccendersi della spiritualità o sono state la manifestazione di un fenomeno di costume globalizzato?

È vero che queste folle oceaniche hanno conquistato molta attenzione; tuttavia, è bene ricordare quello che ci riferiscono le ultime statistiche: ovvero, che la “religione di Chiesa” – non solo in Europa occidentale ma anche in nord America – sta vivendo una crisi probabilmente irreversibile e un declino senza precedenti.

Non dobbiamo però confondere la “religione di Chiesa” con la religiosità in generale. Il processo di erosione della religiosità tipicamente ecclesiastica non comporta per nulla il declino o la crisi della ritualità religiosa in generale. Al contrario, la nostra epoca conosce un’esplosione di offerta religiosa; al punto che alcuni studiosi parlano di religious booming: una religione diversa dal culto ecclesiastico, che ha occupato molti degli spazi lasciati liberi da quest’ultima.

Nei miei studi mi sono occupata proprio delle nuove spiritualità. C’è un campo religioso che io definisco piuttosto come spirituale, il quale esorbita dai recinti delle Chiese storiche per riversarsi nella vita quotidiana. L’Italia non fa eccezione. Si registra, per esempio, un aumento di persone che praticano yoga, reiki, mindfulness, corsi di rune, tarocchi, costellazioni familiari, viaggi olistici e altro ancora. Nel nostro Paese è in aumento il numero delle persone che si definiscono spirituali piuttosto che religiose.

Neopaganesimo

Un fenomeno recente è il neopaganesimo, in quanto vi è una moltitudine di persone che in quantità sempre più crescente si riversa in questo mondo. Noi sociologi lo vediamo nei dati delle partecipazioni ai festival. In Italia, al momento, vi sono una cinquantina di festival neopagani dai nomi più disparati. Il Celtica, a luglio in Valle d’Aosta, è uno dei più famosi. Sono stata anche invitata al Beltane Pagan Festival, nei pressi di Biella. A Lanzo Torinese ci sarà fra pochi giorni l’Elf Festival. Se mappassimo tutti questi eventi e calcolassimo il numero di persone che vi partecipano ogni anno, vedremmo una manifestazione in costante crescita. Questo ci deve dare qualche indizio circa un boom di religiosità, che non è religione classica.

Questo può voler significare il fallimento delle religioni tradizionali?

Questa è una domanda da cento milioni di dollari. Non parlerei di fallimento. Tuttavia, con riferimento alla religione cristiana, c’è un processo di scristianizzazione in corso. La Chiesa Cattolica in particolare vive questo declino. In Italia è inequivocabile. Inoltre, le mie ricerche più recenti mostrano un dato completamente nuovo che riguarda le donne. Le cattoliche italiane, che dagli anni Cinquanta sono sempre state le credenti più attive – lo zoccolo duro dei fedeli – si stanno allontanando dalla Chiesa. I dati dell’ultimo decennio mostrano una diminuzione costante nella partecipazione alla messa. L’aspetto singolare, se facciamo un confronto tra donne e uomini nell’arco dell’ultimo decennio, è che le prime se ne stanno andando via a un tasso più elevato dei secondi.

Un altro dato significativo, che ho pubblicato nel libro Donne e religioni nel 2024, è quello riguardante la preghiera: le donne stanno mollando. Questo è un turning point inatteso, perché la preghiera è sempre stata l’indicatore evergreen, dicono i sociologi; mentre ora scopriamo che in merito alla preghiera le donne si stanno comportando sempre più come gli uomini, abbassandone il livello. Il profilo femminile diventa più simile a quello maschile.

Si dice che “la forma alla lunga diventa sostanza”, ma anche che “dove non c’è sostanza abbonda la forma”. Come applica questi due aforismi alla religione di oggi?

Non è un abbinamento che di solito utilizzo, anche se questo ragionamento offrirebbe lo spazio per un intero simposio. Tuttavia, la domanda è interessante e mi fa venire in mente i fenomeni di fondamentalismo, di nazionalismo etno-religioso che oggi fanno parte del paesaggio contemporaneo e che devono essere studiati, se vogliamo comprendere il rapporto tra relazioni internazionali e religione.

In realtà, il fattore religioso costituisce sempre più un valore aggiunto nelle relazioni internazionali – lo vediamo da quello che sta succedendo – e ha sortito un effetto positivo, nel corso della lunga transizione del mondo diviso in due blocchi, segnato dal crollo del muro di Berlino, sino all’attuale furioso disordine mondiale.

Se pensiamo al fondamentalismo, è importante ricordare che esso non nasce su terreno islamico, ma negli Stati Uniti, in ambiente protestante. Ovviamente, ha poi trovato delle varianti in altre religioni, soprattutto ispirando movimenti che contestano a proposito di forma la stessa dello Stato-Nazione, che non ritengono legittima perché non fondata sulla legge di Dio, su principi eterni. Pertanto, il tema dovrebbe diventare il rapporto che hanno questi fenomeni (tradizionalismo, fondamentalismo, nazionalismo e non religioso) con quello della religione in ottica di globalizzazione. Ci mostrano una religione che si diffonde nonostante l’idea che essa non sia più un fattore presente nel mondo contemporaneo.

Quale direbbe che è la discriminante sociologica fondamentale per distinguere la spiritualità da una religione istituzionalizzata?

Il concetto di spiritualità nasce in campo cristiano, tuttavia dagli anni Sessanta questo termine e il concetto relativo si trasferiscono dall’ambito cristiano, e dalle religioni che lo mutuano, all’ambito della cultura popolare, per disegnare percorsi di ricerca del sacro fuori dai confini delle religioni istituzionali. Questo non ci consente di dire che non c’è spiritualità nelle religioni storiche, assolutamente no; forme di spiritualità sono sempre comparse all’interno delle religioni di ogni epoca. Pensiamo all’Islam, dove abbiamo la spiritualità mistica che è il sufismo; nel buddhismo abbiamo il tantra; nell’ebraismo la cabala; nella cristianità abbiamo gli ordini monastici e le congregazioni.

Spiritualità contemporanea

Tuttavia, quando parliamo di spiritualità contemporanea di solito intendiamo qualcosa di diverso, perché pensiamo a una rinnovata forma che si manifesta fuori dalle religioni tradizionali, in ambienti della vita quotidiana. La spiritualità oggi s’incontra dietro l’angolo. Pensi alle sale dove si pratica lo yoga, la mindfulness o la meditazione trascendentale. Sono sempre di più le persone che si avvicinano a questi mondi. Pensi ai centri benessere che oramai propongono messaggi olistici per riequilibrare la mente, il corpo e lo spirito. Le persone cercano questo tipo di proposte. Pensi ai rimedi naturali, ai Fiori di Bach, alla dieta vegana o vegetariana, che spesso è scelta per ragioni spirituali; o ai temi legati ai pellegrinaggi nei monasteri, negli ashram, ai viaggi sciamanici. Senza parlare di tutti quei mondi che aprono all’uso di sostanze psicotrope. Anche in Italia, nonostante il divieto all’uso dell’Ayahuasca, ci sono gruppi che organizzano ritiri in cui al centro c’è il consumo di questa sostanza, che è bandita almeno dal 2023.

Damanhur

Pensi anche agli eco-villaggi: in Italia c’è una rete, denominata RIVE, che ne riunisce una settantina il più delle volte con un orientamento laico; tuttavia, in molti casi, come in Damanhur, abbinano l’ecologia con la spiritualità, l’eco-spiritualità. Io ho studiato per vent’anni Damanhur. Ho potuto vedere l’evoluzione di questo gruppo, nato come quella che i sociologi tradizionali chiamerebbero setta – non in termine dispregiativo ma tecnico – perché ha certe caratteristiche.

Oggi non è assolutamente più usabile questa etichetta per definire Damanhur: trasformatasi in una realtà completamente diversa da quella che era cinquant’anni fa, si è adattata al mondo, divenendo una realtà globale, post-pandemica, presente sui social. Il segreto iniziatico è stato eroso da questi cambiamenti e la vita stessa dei damanhuriani non è più legata allo spazio fisico, dove il gruppo originale era sorto. Pertanto, non possiamo neanche pensare che i nuovi movimenti non cambino, che nascano in un modo e non si evolvano per seguire le sfide contemporanee.

Spesso i mass media non fanno notare quest’aspetto. Damanhur temeva il mondo contemporaneo e dichiarava di non volersi contaminare, proponendosi come un’autarchia. Oggi tutte queste cose non sono più valide. Si può essere damanhuriani vivendo in California o con la propria famiglia in qualsiasi altro luogo. Una volta era impensabile! I nuovi movimenti religiosi hanno al loro interno la capacità, la forza, la lungimiranza per cambiare e per seguire le sfide del mondo contemporaneo.

Per “globalizzato” noi intendiamo un fenomeno caratterizzato da un’interdipendenza e un’integrazione su scala mondiale. Come si applica questa definizione alla spiritualità in una società dove i fenomeni religiosi sono sempre più multiformi e contrastanti, al punto di vedere i sostenitori combattere fra loro nelle guerre di questo mondo?

Questa domanda è molto interessante, perché mi consente di riprendere il tema annunciato prima, quello della secolarizzazione, o scristianizzazione. Per rispondere, vorrei allacciarmi al pensiero di un sociologo, Ronald Robertson, che ha a lungo riflettuto sul rapporto tra religioni e globalizzazione. Secondo Robertson, il modello della secolarizzazione può essere superato dalla teoria della globalizzazione.

Questo perché tutte quelle idee sulla secolarizzazione sono state superate dall’emergenza di quei movimenti collettivi che hanno sovvertito regimi politici che sembravano incrollabili. Pensiamo ai movimenti di risveglio religioso-spirituale che si sono diffusi in tutti i continenti; o ai gruppi che hanno riletto i testi sacri elaborando teorie e prassi di lotta armata; alla rivoluzione iraniana, o a quella polacca che contribuì al crollo dei regimi di tipo sovietico. Pensiamo anche alla diffusione, avvenuta alla fine degli anni Settanta in tutti i continenti, di movimenti di tipo pentecostale, carismatico; oppure all’insorgenza dei movimenti fondamentalisti di cui parlavamo prima: quello evangelico-protestante, ma anche quello ebraico, quello musulmano, quello induista, quello buddista.

La globalizzazione

La globalizzazione si è verificata nel campo delle religioni. Essa certamente rende il mondo sempre più connesso e interdipendente, da un punto di vista tecnologico e finanziario. Tuttavia, rende gli esseri umani più consapevoli di vivere sotto lo stesso tetto, facilitandone la consapevolezza. Anche dove le religioni declinano, come in Europa, i flussi migratori hanno contribuito a cambiare la geografia religiosa. In questo nuovo scenario, le religioni mondiali si trovano a loro agio, perché sono esse stesse elementi di globalizzazione delle coscienze.

Esse scoprono che sì, devono competere tra di loro per difendere le posizioni acquisite, ma che non necessariamente questa competizione deve prendere la forma dei conflitti, può anche prendere la forma – e tutti i fenomeni di dialogo interreligioso lo mostrano – del riconoscimento della diversità, che aiuta a coltivare virtù civiche come il rispetto, la cooperazione, la riduzione degli stereotipi. Torino da questo punto di vista è una città virtuosa, perché esiste un processo di dialogo interreligioso molto avanzato, che ha realizzato addirittura un Comitato Interfedi: un organo consultivo del Comune. Pertanto, sulle questioni interreligiose il Comune ha un consulente di riferimento. Non abbiamo una realtà simile nelle altre città italiane.

Perché la scelta della spiritualità fai-da-te è preferibile alla religione che è stata tramandata?

In realtà non è preferibile. Diciamo che questa è un modo del credere contemporaneo con cui i sociologi non possono che fare i conti, perché la vediamo quotidianamente. Certo la tendenza al fai-da-te è antica. Se noi guardiamo l’antropologia o la storia delle religioni scopriamo che in ognuna intravediamo tracce di altre religioni. Tuttavia essa diventa clamorosamente visibile nella società contemporanea, come mostrano fenomeni religiosi che sono sorti negli anni Sessanta: mi riferisco ai nuovi movimenti religiosi, alle spiritualità alternative, al neopaganesimo.

La figura del bricoleur, cioè di chi utilizza il fai-da-te, è stata ampiamente usata nella letteratura sociologica per descrivere la storia del religioso contemporaneo, il quale oggi si trova in una situazione molto diversa da quella del passato: la sua identità religiosa non è più legata alla condizione di nascita o all’orizzonte ristretto della sua comunità; piuttosto, all’interno di un contesto pluralista come quello attuale è una scelta in rapporto alle proprie esigenze, alle proprie domande esistenziali.

A riguardo, all’Università di Torino abbiamo un interessantissimo progetto di ricerca dedicato allo studio degli “altari domestici contemporanei”, particolarmente utile come laboratorio per studiare la religione fai-da-te. Gli altari consentono alle persone di stabilire un rapporto diretto con la trascendenza esaltando la creatività rituale. L’individuo è in un rapporto personale con quegli oggetti, che sono scelti sulla base della propria soggettività. Ovviamente, questo tipo di rapporto con l’altare determina una certa ritualità fondamentalmente personale perché – a parte gli altari che si trovano per strada specie in Messico, ma anche in alcune parti del nostro Paese, dove il rapporto è più collettivo – gli altari domestici, casalinghi, sono proprio a misura e a servizio della religiosità del singolo. Pertanto, questo diventa un banco di prova molto interessante per studiare il fai-da-te.

Dai tempi di Gesù in poi quelli che hanno cercato di seguire al meglio i suoi insegnamenti, ad esempio i cristiani del primo secolo e più tardi gli anabattisti e i valdesi medievali, sono stati perseguitati dalle denominazioni maggioritarie ebree, cattoliche e protestanti. Perché oggi alcuni gruppi, ad esempio i Testimoni di Geova, sono oggetto di denigrazioni e false accuse, come quelle cui di recente abbiamo assistito, alimentate dai media?

Per rispondere a questa domanda vorrei tornare al concetto di setta elaborato da Weber, che ci aiuta a capire molte dinamiche che lei ha citato. Quando Max Weber, uno dei fondatori dello studio moderno della sociologia, introdusse il concetto di setta, non aveva in mente qualcosa di negativo. Usava questo termine per designare una nuova forma religiosa: una parte che si stacca dalle chiese storiche, un’organizzazione allo stato nascente diversa dalla chiesa istituzionale perché caratterizzata da un’effervescenza iniziale, un momento creativo, un’innovazione religiosa.

I gruppi settari, nel senso summenzionato, nascono spesso come movimenti di protesta. Per esempio, Weber parlava dei movimenti settari che trovano le proprie radici nella riforma protestante, ove la protesta era rivolta contro i lassismi presunti o non, le ipocrisie presunte o non e i falsi insegnamenti. In realtà, però, le sette in generale sono movimenti di protesta, che la estendono fino a contestare del tutto i valori del mondo contemporaneo.

Ecco perché la setta crea problema, come i gruppi che lei ha citato. Tuttavia, questo è un fenomeno storicamente accertato: il manifestarsi della tensione fra il piccolo gruppo, la novità, la setta e le chiese fin dai primi anni del cristianesimo e in tutto il corso dei secoli successivi. In ogni caso, secondo il tempo e le aree geografiche questa tensione fra le chiese e il piccolo gruppo, novità o setta, è sempre stata costitutiva della dinamica religiosa; fonte interessantissima, produttiva e vitale dell’innovazione religiosa.